Quando si parla di Lead Generation, spesso il discorso si riduce a una questione tecnica: strumenti, form di contatto, campagne sponsorizzate, funnel automatizzati. Tutto vero, tutto utile. Ma se ci fermiamo lì, rischiamo di dimenticare che un lead non è un numero, non è un click né un indirizzo email. È una persona. E ogni persona entra in contatto con il brand attraverso un’esperienza che inizia sempre da un touchpoint.

La Lead Generation non è un processo meccanico. È un percorso fatto di fiducia. Prima di lasciare i propri dati, qualcuno deve percepire che valga la pena. Che dall’altra parte ci sia un valore reale. È come aprire la porta di casa a un estraneo: non lo facciamo perché suona il campanello, ma perché riteniamo utile farlo.

La lead generation è un do ut des. Pensiamo a come questo avviene nel quotidiano. Scaricare un white paper, iscriversi a una newsletter, partecipare a un webinar: sono tutti gesti che richiedono uno scambio: ti lascio il mio tempo, la mia attenzione, il mio contatto, in cambio di un contenuto, una competenza, una promessa di valore. La qualità di questo scambio è ciò che determina se quel lead sarà soltanto un dato parcheggiato in un CRM o se diventerà l’inizio di una relazione. E se diventa una relazione richiede continuità.

Il nostro team ha gestito progetti che hanno raggiunto il proprio obiettivo, come aumentare significativamente le registrazioni in fiera, ma senza la gestione del follow up non si sono trasformati in risultati di lungo periodo. In altre campagne, l’ingaggio continuativo di qualche migliaio di clienti B2B ha invece permesso di acquisire decine di migliaia di contatti consumer con cui sviluppare nuove attività.

In questa prospettiva i touchpoint assumono un ruolo centrale. Un form di iscrizione può essere solo un ostacolo burocratico o un momento fluido, chiaro e persino piacevole. Una campagna social può sembrare invasiva o trasformarsi in un invito a esserci. Un chatbot può risultare sterile oppure sorprendere con un tono empatico e preciso. Ogni dettaglio contribuisce a costruire la percezione del brand e la disponibilità della persona a dire “sì, ti lascio i miei dati”.

La Lead Generation diventa così un capitolo di una storia più grande: quella della customer journey, che è alla base di tutti i progetti che in Adverteaser abbiamo sviluppato dal 1988. Non esiste lead senza esperienza, perché ogni lead nasce da un vissuto, da una sequenza di micro-momenti che hanno portato qualcuno ad affidarsi al brand. Non è mai un click isolato: è il risultato di un percorso.

Ecco perché, quando parliamo di lead, dovremmo parlare anche di responsabilità. Cosa facciamo dopo averli acquisiti? Li sommergiamo di comunicazioni standardizzate o costruiamo un dialogo personalizzato, rispettoso, capace di crescere nel tempo? La vera differenza tra chi accumula contatti e chi genera relazioni sta tutta qui.

Il messaggio è semplice: la Lead Generation non è una tecnica di marketing, ma un’esperienza che parte dai touchpoint e porta a una relazione. Non si tratta solo di “acquisire” ma di cominciare bene. Perché la prima impressione non riguarda solo il brand: riguarda anche come il brand sceglie di trattare i suoi stakeholder.